Io non lo so. Per fortuna
- Nicola Arnese
- 6 giorni fa
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 5 giorni fa

C’è una cosa che ho imparato col tempo, e forse anche con l’età: che nella vita, spesso, non sapere è meglio che sapere. Non parlo di ignoranza, quella no. Parlo di quella voglia tutta nostra di chiudere subito i conti: “Quello ce l’ha con me”, “Quella è maleducata”, “Questo lo fa apposta.”
È come se la nostra testa avesse il vizio di voler archiviare tutto al volo, tipo un impiegato delle Poste con troppa fretta.
L’altro giorno, per dire, sono entrato in un negozio per chiedere un’informazione. Il commesso, senza nemmeno guardarmi, mi risponde con un tono secco, quasi infastidito.
E lì, dentro di me, è partito il solito copione: “Ecco, un altro cafone.”
Poi però mi sono fermato. Non perché sono santo, eh, ma perché da un po’ di tempo cerco di fare un gioco nuovo: il gioco del non sapere.
Ho fatto un respiro. E mi sono detto: “E se fosse preoccupato per qualcosa che io non posso vedere?”Ecco, quello è stato un piccolo miracolo: non ho cambiato lui, ma ho cambiato me.
Pare che il nostro cervello, quando è sotto pressione, si comporti come quei vecchi zii che vogliono sempre avere ragione: semplifica tutto. Bianco o nero. Giusto o sbagliato. Amico o nemico. E lo fa in automatico, mica per cattiveria.
Lo dice anche Daniel Siegel, uno bravo che studia il cervello: quando siamo agitati, la parte pensante si spegne un po’, e comanda quella che vuole solo difenderci. Reagire subito. Difendersi. Saltare alle conclusioni.
C’è una medicina per questa abitudine a giudicare troppo in fretta. Si chiama curiosità. È gratuita, ma non sempre facile da prendere. Quando qualcuno si comporta in modo che ci ferisce o ci irrita, invece di pensare “so già perché lo fa”, possiamo chiederci: “Chissà cosa gli sta succedendo?”
Succede anche in famiglia. Mia figlia, per esempio, torna a casa e sbatte la porta. E io, prima, pensavo subito: “Che maleducata... ma che siamo in hotel?”
Adesso invece mi prendo un secondo. Mi chiedo: “E se fosse successo qualcosa a scuola? Se fosse arrabbiata con se stessa? O magari le è solo scappata la mano?”
A volte, sbattere una porta è solo una porta che sbatte.
Poi magari glielo chiedo, eh. Ma senza tono inquisitorio. Più tipo: “Tutto bene?”
E intanto la guardo, osservo il viso, gli occhi. A volte capisco che è meglio non dirle niente subito. Altre volte, quando si è calmata, ne parliamo.
Concediamoci il lusso di non sapere subito. Di aspettare un attimo. Di guardare meglio. Di chiedere. Di comunicare.
Perché poi, magari, scopriamo che l’altro non era affatto un cafone. Era solo un essere umano, come noi, in un momento storto.
E che anche noi, quando rispondiamo male, non siamo cattivi. Siamo solo un po’ persi.
E allora forse vale la pena fermarsi un attimo prima di pensare di aver capito tutto.
Perché magari non abbiamo capito niente.
E in questo “non sapere” c’è una grande pace.
Prenota una sessione iniziale gratuita e senza impegno per esplorare i tuoi obiettivi, capire come il coaching può aiutarti, ed eventualmente accedere a un ciclo di coaching pro bono con me, Nicola Arnese.
Nicola offre queste sessioni nei suoi momenti liberi, così da non creare conflitti con altri impegni professionali — potrebbe essere necessaria una certa flessibilità nella pianificazione.